Se dico Agatha Christie, scommeto che la prima cosa che vi viene in mente è un cadavere in una biblioteca, magari chiusa a chiave. Tè inglese, pasticcini, merletti e una siringa di veleno. Oppure la faccia tonda e le “piccole cellule grigie”di Hercule Poirot, il geniale detective creato nel 1920 dalla nostra autrice.
Cosa ci fa allora un articolo dedicato alla Regina del Giallo nel blog di Samsara?
Forse i lettori più attenti avranno già capito. Noi, invece, raccoglieremo con attenzione le prove per arrivare alla soluzione…
Agatha Christie fu una prolifica scrittrice. Dagli anni Venti, quando uscì il suo primo romanzo (Poirot a Styles Court), fino agli anni Settanta, scrisse due o tre romanzi all’anno, diversi dei quali sono ambientati in Medio Oriente.
Cosa rappresentava il Medio Oriente per la nostra Dame dell’Impero britannico?
Facciamo, come direbbe Poirot, un passo indietro.
Nel 1930 Agatha Christie, superata una crisi depressiva seguita al divorzio dal pilota della Raf Archibald Christie (del quale conservò il cognome ormai troppo noto ai suoi lettori), decise di lasciare l’Inghilterra per un periodo di vacanza.
La nostra giallista non si accontentò però della classica vacanza in Riviera: decise invece per una destinazione più esotica: l’Iraq. E al tè e ai balli all’ambasciata, preferì unirsi ad una campagna di scavo archeologica.
Invitata dalla moglie del celeberrimo archeologo Leonard Woolley, che era sua accanita lettrice, Agatha si trovò a scavare nientemeno che nel sito di Ur, una delle più importanti città sumere e di tutta la Mesopotamia.
Durante la campagna conobbe Max Mallowen, giovane e promettente archeologo, all’epoca assistente di Woolley, che presto sarebbe diventato suo marito. Iniziò così per Agatha un lungo e intenso rapporto con il Medio Oriente, dove sarebbe tornata per anni accompagnando il marito nelle sue missioni, non solo come consorte ma partecipando attivamente: si occupò di fotografia, del diario di scavo, della pulizia degli avori. Proprio un gruppo di avori, scoperti a Nimrud e oggi conservati al British Museum, dopo essere rimasti per quattromila anni sepolti, vennero ripuliti dalla nostra scrittrice sacrificando il suo latte detergente, decisamente difficile da recuperare nella Siria di metà Novecento.
Per anni, Agatha avrebbe trascorso lunghi periodi in Medio Oriente: comprò addirittura una casa a Baghdad e soggiornò diverse volte all’Hotel Pera di Istanbul e al Baron Hotel di Aleppo. Entrambe le strutture conservano ancora oggi lettere, ricevute e oggetti relativi alla grande scrittrice.
Questa ricca esperienza è facilmente rintracciabile nei suoi libri. La cosiddetta trilogia esotica si compone di tre libri in cui Poirot è in viaggio fra Siria, Iraq, Palestina ed Egitto: nel libro “La Domatrice”, l’assassinio avviene in una delle tombe della città di Petra; in “Morte sul Nilo”, l’investigatore belga deve risolvere un mistero durante una crociera nella terra dei faraoni; e in “Non c’è più scampo”, l’omicidio avviene all’interno di una missione archeologica che la nostra autrice dimostra di conoscere molto bene.
Non sono però gli unici titoli dedicati dalla Christie a queste sue peripezie: si possono citare ancora “Il mondo è in pericolo”, una spy-story ambientata a Baghdad, e “C’era una volta”, un giallo con tutti gli ingredienti classici del genere, ma la cui trama si svolge nell’Antico Egitto!
Un altro libro, famosissimo, è legato a questi viaggi in Oriente: il lungo viaggio da Calais, sulla costa francese della Manica, ad Aleppo, nel nord della Siria, veniva effettuato a bordo del mitico Oriente Express, un treno che la nostra autrice non rinunciò a definire “un caro amico”, nel quale ambientò una delle sue storie più creative.
L’esperienza della scrittrice come archeologa e viaggiatrice è infine raccontata nel libro autobiografico intitolato in italiano “Viaggiare è il mio peccato”, un efficace spaccato sui viaggi e le missioni archeologiche di inizi e metà Novecento, sostenuto dall’ironia e dal british humour della nostra Regina del Giallo.